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Credo
di non aver mai “divorato” un libro come “L’ultima
estate di Berlino”, letto in quattro ore in una
mattinata di fine inverno, quando una tosse squassante
mi ha consigliato di lasciare il letto coniugale per
consentire a mia moglie un giusto riposo. Il libro in
questione, edito da Rizzoli, mi era stato inviato per
posta da Paolo Frusca, uno degli autori insieme a
Federico Buffa.
Paolo, che vive a Vienna con la famiglia, è il figlio di
Bruno Frusca, un uomo che ha dedicato (gran) parte della
sua vita al teatro e che tempo fa mi aveva segnalato il
lavoro del figliolo, intuendo come la trama del romanzo
potesse intrigare la mia curiosità, trattando di
argomenti a me cari: l’Olimpiade del ’36 a Berlino, i
suoi personaggi sportivi illustri: Jessie Owens l’atleta
di colore che giganteggiò in quella rassegna e che
Hitler non si fermò a premiare, Carl Lutz Long, il
saltatore in lungo battuto da Owens ma che gli facilitò
la vittoria con un consiglio sulla rincorsa da
effettuare, Son Kitei il maratoneta coreano che dovette
gareggiare indossando i colori del Giappone e accolse la
vittoria, l’oro e la corona d’alloro senza esultare, il
dominio totale di Glenn Morris nel decathlon, la corsa
vincente di Ondina (Trebisonda) Valla sulle barriere,
l’ambientazione dei giochi e i filmati di Leni
Riefenstahl (Olympia) in una Berlino che doveva stupire
tutto il mondo per la sua teutonica organizzazione, per
la meticolosa cura con la quale Goebbels, Hitler e la
sua gioventù hitleriana si stavano preparando a dominare
il mondo.
Il personaggio principale del romanzo, il capitano
Wolfang Fustner, aveva curato l’allestimento di questa
Olimpiade, ne aveva seguito con determinazione
l’obiettivo di stupire il mondo con la maniacale
precisione e costruzione del villaggio olimpico
disegnato da Alber Speer, l’architetto del Reich che,
unitamente alla regista Leni Riefenstahl, doveva
consegnare alla storia il ritratto di una Germania
assolutamente invincibile, forte, determinata a far
comprendere tutta la potenza della sua razza ariana.
“Razza ariana” che era stata utilizzata e spremuta nel
primo conflitto mondiale e sottomessa da assurde ed
inique vessazioni dal trattato di Versailles, le stesse
che fecero covare sotto la cenere inevitabili desideri
di vendetta.
Chi allora combatté e si fece onore per la Germania si
ritrovò ad essere vituperato quando iniziarono a farsi
strada quelle note caratteristiche destinate a relegare
ai margini alcune categorie di uomini; a nulla valse
aver combattuto con onore e lealtà per la Germania
quando si insinuarono, nella mentalità di chi voleva
dominare il mondo, i concetti legati alla superiorità
ariana e alla persecuzione di chi avesse presunte e
assurde “tare” di ordine fisico, religioso, morale.
Gli ebrei vennero additati come il male assoluto e
pagarono con la segregazione e la persecuzione una folle
idea di profanatori della razza .
La Gestapo scoprì che il capitano Furstner aveva un
nonno ebreo e lo marchiò con l’infamia nonostante la sua
specchiata dedizione alla causa della Germania.
Bastò quell’insinuazione a trascinare nel fango un uomo
che, da quel momento, presagì con angoscia quello che,
di lì a poco, sarebbe capitato ad una Patria, ad una
famiglia e a lui stesso.
Alcuni “personaggi” del libro sono di fantasia, ma si
“legano”, con straordinaria intuizione, ai tanti
realmente esistiti, capaci di scrivere pagine di storia
autentica, appassionata, vissuta con coraggio, lealtà,
entusiasmo, voglia di vivere e trasmettere concetti e
valori universali come amicizia, amore, solidarietà,
rispetto.
Valori importanti come la chiusura magnifica del libro
che segnala la richiesta che il saltatore tedesco
scrisse ad Owens dal fronte prima di morire:
“Se un giorno incontrerai il mio bambino, raccontagli di
come possono andare le cose tra esseri umani sulla
Terra…”
Una autentica poesia che, a mio giudizio, chiude un
libro splendido, scoperto con colpevole ritardo: nel
2016 aveva vinto il 50° concorso letterario CONI di
narrativa sportiva! |
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